E’ ufficiale: il dialetto partenopeo è la seconda lingua italiana più diffusa sul territorio nazionale.
La questione della salvaguardia del dialetto napoletano inteso come «Lingua» è un tema che è sempre stato a cuore a molti dei suoi cittadini ed estimatori, che di volta in volta hanno presentato proposte per salvare una lingua romanza di natura storica, che dal 1860 in poi ha cominciato a perdere forza e vigore, tramutandosi in un dialetto italianizzato, declassando il napoletano verace, ovvero la lingua artistica per eccellenza per forma e contenuti.
E’ dal 14 Ottobre 2008, che il Consiglio Regionale della Regione Campania tentò di tutelare l’identità della lingua napoletana e approvò un disegno di legge d’iniziativa provinciale intitolato“Tutela e valorizzazione della lingua napoletana”. Nel 2010 si giunge ad una prima certezza e l’UNESCO riconobbe il dialetto napoletano come «lingua» a tutti gli effetti, la prima lingua seguita dal siciliano, che precede l’italiano e ampiamente diffusa con le sue varianti nelle regioni meridionali, i cui territori costituivano il Regno delle Due Sicilie, prima dell’avvento dell’Unità d’Italia, quando appunto il «Napolitano» era la Lingua Nazionale, e già nel 1442 sostituiva il latino nei documenti ufficiali.
Da ieri ad oggi qualcosa è cambiato: la Lingua napoletana è salva, dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, dove il dialetto ha assunto le forme di una vera e propria lingua e avente un suo vocabolario; un grande onore attribuito alla città di Napoli, che ora può vantare nella sua ricca storia culturale, anche l’introduzione della prima lingua dialettale tutelata a seguito dell’italiano. Ora abbiamo due lingue. Per ironia della sorte ci sono poi, parole che difficilmente si riescono a tradurre in italiano, in quanto nella traduzione più prossima, perdono tutta la forza e l’enfasi di cui sono dotate, come dire: perdono la maschera.
La bella notizia, giunta soltanto nel III° millennio, in realtà non ci fa sorprendere più di tanto, in quanto un napoletano verace sa benissimo che il dialetto parlato nei quartieri popolari fra vie, vicoli e piazze, è una lingua con tutti gli attributi dovuti, ha una sua grammatica, un lessico, una fonetica che fa meraviglia a chi l’ascolta, perché ha dentro sé una sua musicalità ed espressività, che si è arricchita nel corso dei secoli di influenze europee ed orientali e non a caso è la regina della Canzone Classica napoletana; e come per l’inglese, il napoletano si scrive in un modo e si legge in un’altro verso.
E’ la lingua del teatro napoletano che passa da Pulcinella a Eduardo Scarpetta, Eduardo De Filippo, e giunge nella prosa di Raffaele Viviani, si arricchisce di cultura popolare con Roberto De Simone e Peppe Barra, si vivacizza in Totò, in Nino Taranto, in Enzo Cannavale, e si colora nell’estemporaneità di Massimo Troisi, di Vincenzo Salemme e Alessandro Siani.
Tocca l’America in musica e vibra attraverso le corde vocali del tenore Enrico Caruso, batte a tempo di swing e jazz nelle mani di Renato Carosone e scala attualmente l’audience televisivo con Massimo Ranieri. E’ la stessa lingua appassionata che ha il volto e gli occhi della bella Sofia Loren, e offre un caffè sospeso a Luciano De Crescenzo, e porta Pulcinella, l’Uovo e San Gennaro in giro per il mondo con l’arte di Lello Esposito. Conquista l’Oscar con Tony Servillo e Paolo Sorrentino aventi per natalità Napoli sulla carta d’identità.
Ha molti nomi questa «lingua» e si veste di grandi interpreti che l’hanno onorata degnamente. Teatro, prosa, poesia, letteratura, cinema, musica, arte, spettacolo, gastronomia, e molto altro ancora parlano e scrivono in napoletano.
Ha una lunga eredità la lingua napoletana e passa di anno in anno ai suoi nuovi discendenti, che avranno l’onore ed il dovere morale di amarla, tutelarla e contribuire alla sua vivace e storica esistenza.